Quest’anno Riccardo Pellegrini ed io abbiamo lavorato nella Sala Stampa “Lucio Dalla”. Che cosa accade in questo luogo “misterioso”, cui hanno accesso solo i giornalisti accreditati, provenienti dalle radio? A volte accade l’inaspettato, il più delle volte accadono solo cose normali, talvolta ci si annoia per l’attesa. Si arriva di prima mattina, per assicurarsi un posto in prima fila. Si posizionano computer, cellulari e tutta la tecnologia a disposizione. Si cercano i punti di riferimento vitali: i bagni e la macchinetta del caffè. Si leggono i comunicati stampa relativi ai dati d’ascolto, si chiede alla responsabile della Sala Stampa la scaletta della giornata e poi ci si prepara spiritualmente per una serie ininterrotta di conferenze stampa, durante le quali i protagonisti del Festival, se lo desiderano, si presentano e raccontano ognuno la propria storia.
C’è che si ferma al dato tecnico riguardante la propria canzone, la qualità della propria esibizione, il posizionamento in classifica e le speranze che ripone nella partecipazione alla gara. C’è chi, alla prima esperienza, si presenta con tutta la timidezza e l’inesperienza del caso. C’è chi ha i minuti contati e fa una semplice apparizione di cortesia. C’è chi si fa fotografare e c’è chi sfugge all’assalto. C’è chi arriva con trucco e parrucco e chi invece con ancora i segni del cuscino sulla faccia, con gli occhi rossi, segno che la serata è stata interminabile e si è dormito ben poco. C’è chi, invece, ha voglia di raccontarsi e questa è senza dubbio la parte più interessante del nostro lavoro.
Mi ha colpito l’inaspettata dolcezza di Mr Rain, un ragazzotto altissimo pieno, a suo dire, di insicurezze. Consapevole di essere in un momento di cambiamento, sta elaborando questa sua fase di trasformazione usando gli strumenti che gli sono più consoni: la scrittura e il canto.
Mi ha impressionato la schiettezza di Levante, quando ci ha raccontato la depressione successiva al parto. La sua incredulità nel sentirsi lacerata tra la bellezza dell’avere una figlia e un malessere incontrollabile. Ha vissuto la sofferenza e ora è in grado di godersi la gioia. Da mamma ammette di non avere a disposizione il manuale del perfetto genitore. Lontana dal volere la perfezione, desidera crescere con sua figlia, potendo fare, con serenità, esperienza l’una dell’altra.
Ho ascoltato con attenzione il racconto di Gianluca Grignani e ho cercato di capire con lui il suo rapporto col padre e il motivo per cui questo rapporto è finito ad essere il tema della canzone sanremese. Ho sentito la fatica del raccontare, il desiderio di fare meglio, la voglia di poter essere se stesso in un modo migliore. Ha lasciato la conferenza lasciandomi la sensazione di una fatica che non lo ha ancora abbandonato.
Non ho perso una sola parola del racconto di Francesco Silvestre (Kekko) dei Modà. Un racconto, molto sofferto, di una lunga depressione. La mente diceva alle gambe di non camminare e Francesco non camminava più. Ha passato un lungo periodo allettato, col senso di colpa di non poter condividere momenti importanti della vita della figlia. Non ce la faceva, non era più capace di stare in piedi. E ancora il rapporto con lo psichiatra, il rifiuto dei farmaci, perché “se assumi farmaci per la depressione allora sei un pazzo da manicomio”. La lenta accettazione della terapia e i primi tentativi, falliti, di risalire su un palco. Attacchi di panico e mancanza di fiato. E alla fine un lento e progressivo miglioramento. I primi, timidi tentativi di tornare alla normalità, la sua normalità. Ha raccontato l’importanza del chiedere aiuto, un grande atto di coraggio e non una manifestazione di debolezza.
Non importa se la canzone portata a Sanremo è un clone delle canzoni precedenti. Mi interessa la vita, quella vera. Sul palco dell’Ariston Francesco ha dimostrato che ha vinto la voglia di tornare a vivere.
Scrivimi!
patrizia.speroni@aruba.it