Marco Mengoni vince il Festival dai grandi numeri, una manifestazione che ha abbracciato gusti eterogenei. Ne hanno beneficiato i bambini, gli adolescenti, i giovani adulti, gli adulti e la terza età. Di questa grande torta musicale, ciascuno ha potuto avere una fetta di suo gradimento. Quest’anno, però, non è stato possibile individuare una canzone in grado di emergere in maniera preponderante sulle altre. L’effetto “Brividi” è venuto a mancare.
Quello che invece non è mancato è l’effetto personaggio. Il voto ha finito per premiare la figura più popolare, i cui estimatori hanno bloccato la città di Sanremo pur di incontrarlo, costringendo le forze dell’ordine ad intervenire per ripristinare l’ordine pubblico. Non è lo stesso ragazzo che 10 anni fa vinceva con “L’essenziale” e vestiva un sobrio Ferragamo. Ora è un uomo che continua a piacere alla gente per la sua gentilezza, la sua educazione, il suo amore per il pubblico e per quella voce che gli consente di osare, di andare oltre e di incantare.
Vale forse meno se il premio per la vittoria va alla persona più che alla canzone? Oggettivamente, non è la canzone migliore di Marco Mengoni, ma di fatto, all’infuori di lui, nessuno ha saputo fare meglio. Si ama il trasporto che Marco mette nel canto, la passione che trasuda, il rispetto per il suo pubblico.
Aveva visto bene Morgan, agli albori di X Factor. In quel ragazzo così timido, così impacciato nel parlare, albergava un “Re matto”, che batteva i pugni per uscire allo scoperto.
Oggi lo ritroviamo uomo, che veste pelle Versace con estrema naturalezza, ma che continua a portare nelle sue canzoni un’elaborazione introspettiva, con un leggero retrogusto di inquietudine. Piace così come appare. Non c’è motivo di dubitare che piaccia anche per come è veramente.
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