Lettera semi-seria per chi lavora nell’affascinante mondo della musica
“Caro amico discografico, agente, promoter, manager… Ti scrivo, così mi distraggo un pò, ma siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò”.
Mai parole furono più profetiche. Mi perdonerà Lucio Dalla per aver preso a prestito il frutto della sua ispirazione.
Siete o non siete d’accordo con me quando sostengo che la musica, come qualsiasi altra forma d’arte, è di tutti? Precisando ulteriormente, se la musica, che abbiamo riconosciuto essere una forma d’arte, è di tutti, perché chi la fa pare così distante, irraggiungibile e lontano dalla gente?
Approfondisco. Mi capita di parlare con S. e, curiosamente, scopro che gli artisti big si concedono solo a realtà big. Non capisco! Eppure ho studiato quel tanto che basta per avere una certa capacità di giudizio. La domanda nasce spontanea: è il big a sentirsi tale o è chi gli sta intorno ad attribuirgli una simile etichetta? L’uso smodato dell’aggettivo “grande” non rende forse ancora più grande la distanza tra l’artista ed il suo pubblico?
Ecco, ci siamo, il pubblico, la gente normale che compra la musica, che acquista i biglietti per i concerti, che si identifica, a volte, con chi sa mettere in parole e musica i sentimenti di una normale quotidianità. Mi faccio delle grandi risate ogni volta che qualcuno uso il termine big.
Mi capita di parlare con M. e scopro che gli artisti, i “suoi artisti”, sono blindati. Non posso fare a meno di ridere. L’artista è consapevole di essere blindato? Desidera esserlo oppure non sa di essere ritenuto tale dal suo entourage? Devo cambiare punto di vista. Forse sono IO a non essere abbastanza grande o blindata, o forse non rappresento una realtà grande e blindata a sufficienza.
Sono al delirio! Faccio radio da sempre, sono cresciuta a pane e musica, lavoro quotidianamente con la musica, promuovo la musica. Continuo a non capire. Ci deve essere qualcosa che non funziona in questo strano e contorto meccanismo.
Caro discografico, agente, promoter, manager… dimmelo tu cos’è! Da sola non ci arrivo. Eppure, qualche paragrafo fa, sostenevo di avere una dignitosa capacità di giudizio.
Ricordo un’intervista a Zucchero poco dopo il Festival di Sanremo del 1983. Partecipò con la canzone “Nuvola”. Non vendeva, ma produceva Stefano Sani che, al contrario, vendeva moltissimo. Quell’anno Zucchero si promuoveva da solo (oh discografico, tu dov’eri?) ed era grato per i passaggi radio e la promozione. Ora chi lo vede più? Situazione impensabile, oggi. Guardo la mia carta d’identità. Il mio nome non è Howard Stern. Ora le cose si fanno più chiare. Sto cominciando a capire.
Parlo di musica con S. Gli chiedo se ha sempre fatto il discografico. Mi risponde di sì. Gli chiedo come mai, tra tanti, ha deciso di fare proprio questo lavoro. Non credo alle mie orecchie! Lo so, sono un pò sorda per via del volume delle cuffie, ma afferro con chiarezza la risposta:”Perché morivo per la musica”.
Mi capita di parlare con S. (non è colpa mia se molti discografici hanno S come iniziale del nome di battesimo!). Mi tiene nel suo ufficio per più di 40 minuti a parlare di musica e lo fa con un entusiasmo che non vedevo da tempo. Ma allora esistete, non siete una razza in via di estinzione! Se non foste già fidanzati, ed io anche, vi chiederei di sposarmi, ovviamente nel nome della musica.
È proprio vero, la musica è una questione d’amore, di passione ed è di tutti. È anche merito delle piccole realtà, che fanno il loro dignitoso e costante lavoro, se Zucchero ora fa concerti in tutto il mondo, se Bocelli è popolarissimo negli Stati Uniti, se Laura Pausini e Tiziano Ferro spopolano nei paesi sudamericani, se Eros Ramazzotti ha un successo commerciale stravolgente.
Torno a Radio3i, la mia realtà. La amo ancora di più perché è semplice e vicina alla gente. Mi ci trovo, caspita se mi ci trovo! “Caro amico discografico, agente, promoter, manager… Ti ho scritto, così mi sono distratta un pò, ma siccome sei molto lontano, un’altra volta non ti scriverò!”.
Non finirò mai di ringraziare Franco Mussida che, al termine di una fantastica intervista, mi ha scritto: “A Patrizia, musica infinita”. Una dedica così gli è valsa il perdono immediato per essere stato una delle poche persone a non aver usato il mio amatissimo soprannome – Patty a scatti – cucito su di me come una seconda pelle.
Scrivimi!
patrizia.speroni@aruba.it